LA GRANDE UTOPIA DI HENDRIK CHRISTIAN ANDERSEN

al quartiere Flaminio di Roma la casa-museo del visionario artista norvegese

fotografie e testo di Massimo Pacifico


L’artista norvegese Hendrik Christian Andersen (Bergen, 1872 • Roma, 1940) visse a Roma dagli ultimi anni dell’800 sino alla sua morte. Dal 1922, nella Palazzina Hélène: un edificio rosa che aveva progettato e decorato in un eclettico stile neorinascimentale. Al primo piano della villa si aprono due grandi studi dove sono esposte moltissime opere. Al primo piano, dove Hendrik abitava, si tengono ora mostre temporanee di artisti stranieri. La collezione (più di duecento sculture di grande, medio e piccolo formato; altrettanti dipinti e oltre trecento grafiche) è rimarchevole per la sua unicità: quasi tutte le opere furono concepite in funzione dell”utopia di dar vita a una Città Mondiale, destinata ad essere il quartier generale di un laboratorio perpetuo di progetti nel campo delle arti, delle scienze, delle filosofie, delle religioni e della cultura fisica. 


 La reputazione di Hendrik Christian Andersen a Roma, agli inizi del ‘900, era controversa. Nessuno comunque dubitava che il norvegese fosse un visionario. Già nel 1913 aveva terminato di mettere a punto il suo progetto per una città ideale. Ne aveva disegnato le piante, realizzato i plastici e forgiato le sculture che l’avrebbero adornata. L’aveva chiamata World City (Città Mondiale). Con i tanti denari  di Olivia Cushing, una ricca americana del Rhohe Island che era la vedova del suo defunto fratello Andreas (il matrimonio era durato solo due mesi) la illustrò, nei minimi dettagli, in un volume che pesava più di 5 chili. Un librone, che Andersen spedì, nel corso degli anni, a molti capi di stato per convincerli a edificare nei loro Paesi il suo Eden per lo sviluppo pacifico dell’Umanità. Nessuno dei potenti lo prese in seria considerazione. Nemmeno il Cavalier Mussolini che, pur dicendosi interessato, impegnava nel frattempo le sue risorse in ben altri progetti di imperiale grandiosità. Quando, agli inizi degli anni 20, anche la palazzina dove l’artista intendeva dar corso alle sue illusioni prese forma, Olivia, che aveva seguito il cognato a Roma dal New England e aveva finanziato la costruzione, era morta da 5 anni. Hendrik la dedicò così alla propria adorata madre Hélenè.

L’indirizzo di casa Andersen (via Pasquale Stanislao Mancini, 20) era nel carnet di viaggio di molti illustri personaggi. Frequentatori più o meno abituali furono: il comico Ettore Petrolini; il filosofo bengalese Rabindranath Tagore (premio Nobel nel 1913); l’intrepido comandante della sfortunata spedizione al Polo Nord Umberto Nobile; lo scienziato Guglielmo Marconi (premio Nobel nel 1909); la poetessa Sibilla Aleramo; il critico e mercante d’arte Bernard Berenson e la sua affezionata cliente bostoniana Isabella Steward Gardner; i magnati statunitensi Whitney e Vanderbilt. Intenso era stato prima della costruzione di villa Helénè anche il rapporto tra Andersen e  il prolifico scrittore americano naturalizzato inglese, Henry James. Henry e Hendrik si erano conosciuti nel 1899, e si videro in effetti solo sette volte prima che il letterato morisse nel 1916, ma si scambiarono 77 lettere (almeno tante sono quelle sopravvissute alla moralistica censura della Cushing) piene di intimi racconti e espressi desideri.

Oggi frequentare la palazzina non è più privilegio riservato ad artisti e miliardari. Divenuta proprietà dello stato italiano nel 1978, é in carico alla Galleria Nazionale di Arte Moderna ed è aperta dal martedì alla domenica dalle 9,30 alle 19,30. L’ingresso è gratuito.


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Villa Helene agli inizi del XX secolo

Villa Helene agli inizi del XX secolo

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Andersen nel suo studio

Andersen nel suo studio

Andersen con Herny James

Andersen con Herny James

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