PRIMA CHE TUTTO CAMBI

Al sud di Carmelo Eramo niente di nuovo

PRIMA CHE TUTTO CAMBI  Carmelo Eramo

Sono molti i fotografi che hanno cercato, nel nostro sud, l’esotico. Il sud è caldo, è antico, è lento. Gli inglesi direbbero pittoresco. Ci piove poco e si vive per strada: un palcoscenico dove si recita a soggetto e le occasioni per scattare ottime foto di scena non mancano mai. La storia della fotografia è dunque ricca di racconti di autori che si sono confrontati con le multiformi realtà dell’ex regno borbonico. Fosco Maraini e Piergiorgio Branzi, sarcastici toscani d’assalto; Mario Giacomelli, il tipografo, visionario esploratore di un Abruzzo (il nord del sud!) pieno di contrasto che ha lasciato forse la più famosa foto di Scanno (quella – fortuita?- del ragazzino ectoplasma); Gianni Berengo Gardin, ennesimo pacato suiver delle orme di Henri Cartier Bresson nella stessa Scanno; Erwitt Elliot interprete  sempre attento, ironico e delicato di un mondo la cui lingua non gli è del tutto sconosciuta; Mario Cresci limpido esegeta della Basilicata. Poi ci sono i fotografi che al sud sono nati, come Letizia Battaglia, testimone impegnata in prima linea nella denunzia dell’operare delle mafie; Enzo Sellerio, colto signore sulla breccia per i settimanali illustrati degli anni ’50 e ’60; Ferdinando Scianna, l’autore di un libro, Les Siciliens per  Denoel (e poi Einaudi) che lo rivelò, già eccellente, al grande pubblico a poco più di 30  anni; Peppuzzo Tornatore (sì proprio lui, il premio Oscar per Nuovo Cinema Paradiso) che ancora col grembiule delle elementari fotografò, con una ingombrante Rolleicord, la Bagheria della sua infanzia, molto prima dei palazzoni di cemento e della sua reinterpretazione hollywoodiana per il grande schermo.

E c’è anche chi, sempre al sud, la fotografia la pratica per diletto, ma come impegno quotidiano. Per rispondere al bisogno di testimoniare un mondo “che si va perdendo”.
Non cerca l’esotico Carmelo Eramo che, pugliese, quell’esotico ce l’ha dentro. Semmai tenta di preservarlo, anche per la memoria dei suoi scolari. Perché lui fa il maestro elementare ad Altamura. I suoi bianchi e nero sanno degli autori di cui sopra, hanno la grana che sa di TriX, (la pellicola per eccellenza di quelli che erano gli inconsapevoli antesignani di quella che oggi si chiama street photography), ma sanno soprattutto di quella cultura immateriale che si respira nei paesi colle case basse, gli intonaci sbrecciati, i belvedere con l’inferriata, i balconi fioriti, i selciati lindi, i pensionati con la coppola, le mutande appese al filo ad asciugare per strada, i bambini che si sbucciano le ginocchia giocando a pallone davanti alla chiesa. Sanno dei vicoli tortuosi e dei bassi con la tenda. Dei profumi di pani appena sfornati e di conserve.  Delle chiacchiere di donne che passano l’esistenza sulla soglia di casa o, annodato il fazzoletto nero a nascondere i capelli, vanno in processione col cero in mano e una supplica sulle labbra. Del sud, insomma. Eccome. (MP)

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